Si dice che il tempo passi veloce, che non ci si accorga del passare dei mesi, degli anni. Eppure, se ripenso alla 1000 Km di Monza del 1997, posso ancora sentire nella mia testa il suono meraviglioso del 12 cilindri della Ferrari 333SP, vedere la faccia di Montermini dopo il ritiro, e sentirmi addosso le ombre della sera che accompagnarono il vittorioso arrivo della Kremer Porsche Spyder K8 di Bscher-Nielsen. Ma sono passati 10 anni, tanti, se ci penso bene, addirittura troppi, perché poi nella realtà io non mi sento più vecchio di allora. Fu un weekend particolare e lo ricordo con gran piacere. Segnava il ritorno dopo anni della 1000 km monzese, una corsa a cui sono molto legato perché da ragazzo mio padre mi portava sempre a vederla in tribuna Parabolica. Si partiva subito dopo pranzo e si vedevano le fasi centrali e finali della gara. Poi si passeggiava fino ai box e si guardavano auto meravigliose davicino. Come le Porsche 956, le Lancia LC2, le Spice e le rumorose Mazda a motore rotativo. Eravamo nei primi anni ’80, bei tempi veramente, anni spensierati quando ci si divertiva ancora a passare un fine settimana con il proprio padre. La 1000 km del 1997 rappresentava per me un recupero, un ritorno a quegli anni pieni di ricordi. I tempi erano diversi ma sentivo l'attesa per quella gara, avevo una gran voglia di fare belle fotografie e, come al solito, l'istinto di arrivare il più possibile vicino alle auto e ai piloti. In quell'anno facevo i turni e il venerdì cominciavo a lavorare alle 14: era quindi una occasione ottima per andare a vedere subito le auto e le prime prove libere del mattino. Ero poi curioso di vedere dal vivo la mitica Ferrari 333SP di Giampiero Moretti che aveva deciso per la prima volta di correre anche in Italia, dopo aver ottenuto tante vittorie negli anni precedenti nelle serie di durata americane.
Mi svegliai presto come al solito e alle 7 del mattino ero già nel paddock. Bella atmosfera con le macchine da tirar giù dai camion. Mi avventurai quasi subito in zona Moretti Racing dove i meccanici del team stavano preparando il box. La macchina non c'era (era ancora sul camion), ma dopo pochi minuti un signore mi chiamò chiedendomi aiuto. Aprì il portellone posteriore, fece scendere la vettura e mi chiese cortesemente se potevo dargli una mano a tirala giù. Non mi sembrava vero, stavo spingendo dentro un box di Monza una macchina leggendaria come la Ferrari 333SP. Anche se non avevo fatto nulla di importante, ero emozionatissimo. Stazionai discretamente per oltre un’ora in quella zona e seguii tutti i preparativi del team. A un certo punto arrivarono anche i piloti: Giampiero Moretti, Antonio Hermann e Andrea Montermini. Come mia abitudine, rimasi sempre molto defilato, ma appena si presentò l'occasione chiesi gentilmente a Moretti se potevo fargli una foto; un poco stupito si mise in posa volentieri e poi scambiammo due parole. Senza che gli avessi chiesto qualcosa, mi regalò un braccialetto valido per tre giorni con ingresso paddock incluso. Che meraviglia e che sorpresa! Lo ringraziai infinitamente e da quel momento cominciai a girare tutto il paddock guardando e osservando come mai avevo fatto prima. Poi, feci un bel giro in pitlane e tante foto. Inutile dire che la mia attenzione era calamitata dalla Ferrari. C'erano anche altri equipaggi interessanti: Didier Theys e Freddy Lienahard con l'altra Ferrari 333 SP, l'inossidabile Arturo Merzario insieme a Meyer.
Purtroppo quando si fanno cose belle, il tempo vola e a mezzogiorno ripresi la mia Fiat Uno e ritornai verso casa per il pranzo; alle 14 si cominciava a lavorare.
Ma il sabato era là dietro l'angolo e la sera del venerdì, a letto presto. Sabato passai la giornata intera in autodromo con la mia cara vecchia Canon AE1 che ancora conservo. Mi gustai tutte le prove, il lavoro dei meccanici e feci anche un bel giro per l'autodromo scattando foto sia nella zona della variante Ascari sia in Parabolica. Riuscii anche a fare uno scatto della 333 il sabato pomeriggio, dopo che aveva perso una ruota. Era bello fare le foto all'epoca e con quella vecchia macchina; vederle dopo la stampa e trovarle ben fatte dava soddisfazione. Anche perché di certo non avevo un’attrezzatura da professionista, un 50 millimetri e un 135, nulla di più. Poi arrivò il giorno della gara e ci andai con il mio vicino di casa Matteo. Partenza all'alba per assistere a ogni momento della gara e dei preparativi. Guardammo tutti i lavori del mattino e le procedure relative allo schieramento di partenza dal box Moretti. Ricordo che scattai belle foto sia ai piloti sia alle auto pochi istanti prima del via. Poi la partenza. Dopo pochi giri io e Matteo ci trasferimmo sulla terrazza box per scattare alcune foto e subito un colpo di scena: bandiera gialla e safety car in pista. La Ferrari 333 con Moretti alla guida esce di pista, ma per fortuna riesce a rientrare ai box. I meccanici, velocissimi, tolgono la carrozzeria e cominciano a ripulire l'auto dalla ghiaia. Nel frattempo, Moretti lascia subito il posto a Montermini, la corsa è in salita. Andrea riparte velocissimo e fa registrare tempi di due secondi più veloci rispetto alla concorrenza, ma la sosta è stata lunga e il tempo da recuperare è molto.
La gara fu avvincente e incerta sino alla fine. Montermini nel suo ultimo turno guida riuscì a risalire al terzo posto ma una rottura lo costrinse al ritiro a pochi giri dal termine. Era ormai quasi buio quando la gara finì. Ricordo che l'ultima ora di corsa la passammo tra il box Moretti e quello del team Monforte. Questi ultimi, grazie al ritiro della 333SP finirono terzi; ricordo ancora adesso le loro urla di felicità per il prestigioso risultato conquistato. Terzi assoluti con una Porsche 911 nella 1000 km di Monza non è un risultato che si ottiene tutti i giorni. L'arrivo fu comunque fantastico: il contatto con la pista, l'odore delle gomme, dei freni stanchi dopo 1000 km di corsa è ancora con me oggi. Monza quel giorno la sentii mia come poche altre volte, lo stare in pista insieme a quelle macchine, a quei piloti con i capelli grigi che conoscevo sin da quando ero bambino mi faceva sentire come a casa. Mi sembrava di stare in un luogo mio, che era sempre stato là per me. Una sensazione che, per fortuna, provo molte volte anche oggi.
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