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Nell'aprile del 1945 il rettifilo delle tribune ospitò una parata di mezzi corazzati alleati che ne sgretolò il fondo. Poco più tardi vaste aree, soprattutto nella zona meridionale del circuito, furono adibite a deposito di automezzi militari e di residui bellici. Di tale situazione anomala risentirono, oltre al manto stradale, anche i box, i vari fabbricati, le tribune; insomma, vi era rimasto poco di agibile. Il ripristino integrale dell'autodromo venne deciso dall'Automobile Club Milano all'inizio del 1948. Ancora una volta in un lasso di tempo molto breve - non più di due mesi - l'impianto venne restituito alla funzionalità originaria. Nella sua nuova veste l'Autodromo ospitò tutte le manifestazioni dal 1949 al 1954. In questo periodo gli impianti vennero perfezionati e completati: tribunette in ferro coperte furono sistemate all'esterno della seconda curva in "porfido" mentre fu ricavata una serie di palchi per il pubblico sul tetto dei box di rifornimento.
Nel 1955 si decise di realizzare opere che trasformassero l'intero complesso sotto il profilo della funzionalità. Si ripristinò infatti un circuito di complessivi 10 chilometri comprendente, come il progetto originario del 1922, un settore stradale e un settore d'alta velocità adeguati alle nuove esigenze delle competizioni e ai tentativi di record. Fu pertanto realizzato un anello con due curve sopraelevate che ricalcava lo schema del 1922, salvo un arretramento a Sud per ricavarvi un sottopasso, con intersezione sul circuito stradale simile a quella originaria. Per quanto concerne il tracciato stradale, ne fu ridotta la lunghezza accorciando il rettifilo centrale e quello delle tribune raccordati mediante la costruzione, a Sud, di una curva a falda unica e lieve inclinazione trasversale, caratterizzata da un raggio crescente verso l'uscita denominata "parabolica", che andava a sostituire le due curve in porfido, la lunghezza del tracciato era di 5.750 metri. La nuova pista d'alta velocità misurava 4.250 metri ed era costruita su strutture in cemento armato anziché su terrapieno come l'originale; le due grandi curve sopraelevate, del raggio di 320 metri e con sopraelevazione a pendenza progressiva sino all'80% nella fascia superiore, erano calcolate per una velocità massima teorica di circa 300 km/h. Altre migliorie agli impianti riguardavano la costruzione di due grandi torri con quadri luminosi poste ai lati della tribuna d'onore e di quattordici torrette metalliche (sette lungo il circuito stradale ed altre sette lungo la pista d'alta velocità) per l'esposizione delle classifiche al pubblico sul percorso, di nuovi uffici per la direzione gara, di trentanove box di rappresentanza e di un padiglione stampa a due piani e lo spostamento della tribuna che si trovava all'esterno delle obsolete curve in porfido. Il circuito completo di 10 chilometri fu adottato per il Gran Premio automobilistico d'Italia negli anni 1955, 1956, 1960 e 1961, la sola pista d'alta velocità, oltre che per numerosi tentativi di record automobilistici e motociclistici, venne utilizzata nel biennio 1957-58 per la disputa delle 500 Miglia di Monza, una gara aperta alle vetture della Formula Indianapolis e valida per l'aggiudicazione del Trofeo dei Due Mondi messo in palio dalla pubblica amministrazione di Monza, un primo esperimento per riportare in Europa i celebri campioni e le robuste monoposto americane. L'edizione del 1957 fu pressoché disertata dall'industria europea e soprattutto nazionale. Jimmy Brian e la sua Dean Van Lines Special vinsero due manches su tre e si aggiudicarono la competizione a una media generale di 257,594 km/h, con giro più veloce a 282,809 km/h. L'anno successivo si registrò un certo interessamento delle case italiane che schierarono contro gli specialisti di Indianapolis due Ferrari (una di 4.000 cc ed un'altra di 3.000 cc) affidate rispettivamente a Luigi Musso e Harry Shell, nonché una specialissima Maserati sponsorizzata dalla ditta dolciaria Eldorado e pilotata da Stirling Moss. Le monoposto americane ebbero vita facile sul catino monzese; i robusti telai assorbirono benissimo le forti sollecitazioni causate dalle curve sopraelevate e anche le gomme Firestone si dimostrarono quasi sempre all'altezza. La stessa cosa non si poteva invece dire delle formula 1 europee che proprio in quel periodo, secondo le nuove tendenze della scuola inglese, cominciarono a diventare sempre più fragili e leggere. I telai affusolati e filanti delle monoposto mal sopportavano le sollecitazioni imposte dall'anello ad alta velocità e per questo uscirono sconfitte dalle due edizioni della 500 miglia di Monza. All'inizio degli anni '60 le monoposto di formula 1 diventarono ancor più leggere e pericolose; il tragico Gran Premio d'Italia 1961, disputato sul circuito completo di 10 chilometri e funestato dal mortale incidente che costò la vita, all'ingresso della curva "parabolica", al pilota Von Trips della Ferrari e a undici spettatori, segnò probabilmente la fine dell'uso di tale pista per le monoposto da Gran Premio.
In realtà anche le prove di qualificazione del Gran Premio d'Italia del 1962 furono inizialmente disputate sul circuito completo anche se poi la gara vera e propria venne disputata sul solo circuito stradale in quanto il circuito ad alta velocità fu ritenuto insicuro per gli spettatori a causa della mancanza di una doppia rete di protezione tra pista e spalti.
Si tornò ad utilizzare il circuito completo di 10 Km nel 1965 con l'organizzazione della 1000 Km di Monza, gara riservata alle vetture sport, prototipi e granturismo. La prima edizione, svoltasi sulla pista priva con una sola chicane provvisoria all'imbocco della curva sopraelevata sud, fu vinta da Parkes-Guichet su Ferrari 330 P2; dal 1966 furono introdotte due "chicanes" fisse all'entrata delle curve sopraelevate e il tracciato risultò allungato di 100 metri. I vincitori di quelle edizioni furono Surtees-Parkes su Ferrari 330 P2 nel 1966, Bandini-Amon su Ferrari 330 P4 nel 1967, Hawkins-Hobbs su Ford GT 40 nel 1968, Siffert-Redman su Porsche 908 nel 1969. |
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